martedì 20 maggio 2014

LA DISLESSIA, PROBLEMA PER I GENITORI, PER GLI INSEGNANTI, MA SOPRATTUTTO SOFFERENZA PER I BAMBINI

 Che cosa è la dislessia?La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento e i  bambini che ne soffrono hanno un’ intelligenza nella norma o brillante, senza  problemi neuro-sensoriali e non vivono in ambienti  socio-culturali con problemi. Purtroppo è una situazione presente sin dalla nascita, ma si evidenzia solo all’inizio del percorso scolastico: dopo i primi due anni della scuola primaria, solitamente, le abilità della lettura e della scrittura sono acquisite…ma così non è per i bambini dislessici. Inoltre si presentano una serie di disturbi e problematiche che accompagnano questa situazione:
*Disturbi nell’organizzazione dello spazio
*Disturbi del linguaggio
*Disturbi nella coordinazione motoria
*Disturbi nell’esecuzione di procedure
*Disturbi nella memoria di lavoro
*Disturbi dell’attenzione e iperattività
*Disturbi del comportamento e della condotta
Dal sito dell’Associazione Italiana Dislessia si hanno molti elementi interessanti:
innanzitutto l’Associazione ci aiuta a capire come questa si può affrontare in una prima fase. Infatti quando qualcuno (genitore o insegnante) sospetta di trovarsi di fronte ad un bambino dislessico è importante che venga fatta, al più presto, una valutazione diagnostica. La diagnosi deve essere eseguita da specialisti esperti, mediante specifici test e permette di capire che cosa sta succedendo ed evitare gli errori più comuni, come colpevolizzare il bambino ("non impara perché non si impegna") e l'attribuire la causa a problemi psicologici, errori che determinano sofferenze e  frustrazioni. Il professionista redigerà  un referto scritto indicando il motivo dell'invio, i test utilizzati e la diagnosi conclusiva. Ottenuta la diagnosi si possono mettere in atto aiuti specifici, tecniche di riabilitazione e di compenso, nonché alcuni semplici provvedimenti della modifica della didattica a favore dei ragazzi dislessici e contenute nelle direttive Ministeriali, come ad esempio dare  di tempi più lunghi per lo svolgimento di compiti, l'uso della calcolatrice e/o del computer, anche durante gli esami.
Credo che  cosa fondamentale da ricordare, per tutti è che dislessici hanno un diverso modo di imparare ma comunque imparano.Spesso i genitori hanno difficoltà a riconoscere i segnali, perché questo è emotivamente molto difficile da affrontare: a volte attribuiscono le difficoltà alla scarsa volontà e scarso impegno (“II bambino è pigro e svogliato”); gli insegnanti possono mostrare disappunto e impazienza diventando più severi e la famiglia viene coinvolta e sente pesante il problema dei compiti a casa. Purtroppo a volte  vi sono classi che vivono il bambino dislessico come un vero e proprio problema, colui che ostacola il normale andamento didattico. Spesso la scuola di fronte a un bambino con problemi, adduce la causa a pigrizia collegando questo stato a motivi di carattere familiare con situazioni spesso assurde, irrealistiche e inappropriate rispetto alle reali dinamiche . Può capitare che alcuni insegnanti  assumano un atteggiamento negativo di fronte all’uso di materiali e strumenti compensativi specie l’uso del computer o altri strumenti tecnologici (rifiuto del PC in classe, o rifiuto di fare i compiti a casa con il PC, perché discriminerebbe i compagni) .Le dinamiche all’interno di una classe sono sempre molto complesse e al team di insegnanti non viene dato il giusto supporto e aiuto per affrontare anche questo .E quindi molte volte il bambino dislessico va incontro ad una richiesta cognitiva eccessiva .
Ma quale può essere una richiesta eccessiva per il bambino dislessico? Bisogna cercare di capirlo per potersi mettere nei suoi panni.  Ad esempio  leggere o scrivere una parola per un bambino con memoria a breve termine  e fare analisi fonemica è un compito per lui molto complicato, che appare invece facile per i compagni.
Fare un compito in cui sia necessario focalizzare l’attenzione su molti sotto-compiti , richiede proprio quei processi in cui lui non è sufficientemente automatizzato: lettura di parole lunghe, seguire una lezione alla lavagna, copiare alla lavagna, prendere appunti ; da qui possono crearsi confusione e disagio.
Tutto questo diventa  fattore di stress scolastico per il bambino dislessico.
 Proviamo a pensare come potrebbe essere per noi una mancanza ripetuta di soddisfazione:non finire in tempo, non avere la soddisfazione di far bene, di aver successo di fronte al compagno, se non di fronte alla classe intera, ricevere un giudizio negativo, la percezione del biasimo da parte dell’adulto. Da questo vissuto l’Immagine di sé   ne viene altamente compromessa e sono grandi I fattori di stress scolastico per il bambino dislessico.
 Sono quindi atteggiamenti da cercare di evitare il più possibile: sottoporre il bambino a molto stress tramite una didattica inappropriata; sottoporre il bambino a molti fallimenti in un contesto in cui dovrebbe riuscire a trovare gratificazione, ma che invece risulta umiliante, frustrante; dare giudizi negativi  specie sull’essere(non sufficiente, appena sufficiente, hai sbagliato, non fare il pigro, ti devi impegnare di più, non va per niente bene);non fare un’analisi attenta degli errori secondo le indicazioni diagnostiche fatte; sanzionare in termini di più compiti (rifai la scheda nell’intervallo); mostrare disinteresse per le sue difficoltà e le sue frustrazioni; non dargli l’ opportunità di mostrare i suoi ambiti di successo; utilizzare in classe modalità didattiche che favoriscono la competizione, paragoni, giudizio sociale relativo alle prestazioni scolastiche degli altri; avere un atteggiamento generale che valuta il bambino in termini di successo o meno a scuola o in una materia.
Perché dobbiamo avere tutte queste attenzioni? Perché altrimenti il bambino può andare incontro a degli stati emotivi molto forti, che portano a comportamenti di evitamento delle situazioni che gli fanno male e quindi della scuola: ansia, demoralizzazione, sintomi associati o secondari (mal di testa, mal di pancia), demotivazione, preoccupazione di far male o brutta figura, senso di incontrollabilità, solitudine, bassa autostima, aggressività, impulsività. Oggi, per fortuna la ricerca riconosce che i bambini con disturbo di apprendimento presentano come conseguenza problemi di tipo emotivo ( scarsa autostima, senso di colpa, problemi di socializzazione).
Il sentirsi fallimentare spinge il bambino ad auto-percepirsi come inappropriato e inadeguato, provocandogli un’enorme sofferenza che può manifestarsi dapprima come rabbia, aggressività , ritiro fino all’instaurarsi di veri e propri stati di ansia e depressione.
Percepirsi inadeguati è una sensazione straziante, che porta anche a reazioni di rabbia: fallimenti scolastici e frustrazione sarebbero la causa di comportamenti aggressivi, incrementati dai comportamenti inadeguati di genitori e insegnanti .La rabbia non sempre rivolta verso chi è responsabile direttamente ma più spesso verso la famiglia e in particolar modo verso la mamma. Inoltre bambini con DSA (questa è la sigla dei disturbi specifici dell’apprendimento, di cui la dislessia fa parte) soffrono di un rifiuto e di un isolamento sociale legato a uno o più fattori, come i problemi sul piano linguistico/comunicativo, le difficoltà nell’uso adeguato del linguaggio verbale, le scarse abilità sociali, la difficoltà a decodificare le informazioni offerte dagli altri, la possibile goffaggine, ma anche una difficoltà nell’interpretare il linguaggio corporeo ( che mi dà grandi indicazioni su cosa pensano gli altri).
 Tutto questo porta ad atteggiamento comunicativo passivo, uniformato al concetto di sé alla percezione che di loro hanno gli altri e all’’evitamento di certe esperienze o addirittura la fuga (quando non può farlo mette in atto altri comportamenti  a seconda dell’età come succhiarsi il pollice, mordersi le unghie,piangere, ecc..) Purtroppo questi bambini sono molto spesso convinti di essere poco intelligenti, cioè di possedere scarse capacità di riuscita in qualsiasi compito e quindi evitano ogni prestazione scolastica in quanto la loro motivazione è annullata.
Per tutti questi motivi capiamo che insegnanti e genitori giocano un ruolo determinante nel sostenere in un certo modo il bambino dislessico .Per riassumere prendiamo spunto nuovamente dall’Associazione Italiana Dislessia ci dà indicazioni su cosa possono fare i genitori:
- informarsi sul problema
- cercare una appropriata valutazione diagnostica
- discutere del problema con gli insegnanti
- aiutare il bambino nelle attività scolastiche (leggere ad alta voce)
- utilizzare strumenti alternativi alla pura lettura (cassette, cd, video, computer)
Cosa possono fare gli insegnanti:
- riconoscere e accogliere realmente la "diversità";
- parlare alla classe e non nascondere il problema;
- spiegare alla classe le diverse necessità dell'alunno dislessico e il perché del diverso trattamento;
- collaborare attivamente con i colleghi per garantire risposte coerenti al problema;
- comunicare con i genitori
Le cose da non fare:
- far leggere il bambino a voce alta
- ridicolizzarlo
- correggere tutti gli errori nei testi scritti
- dare liste di parole da imparare
- farlo copiare dalla lavagna
- farlo ricopiare il lavoro già svolto, perché scorretto o disordinato
- paragonarlo ad altri 

venerdì 16 maggio 2014

IL BAMBINO CONSUMISTA

Il bambino consumista! Detto così sembra che stiamo parlando di un essere che utilizza tutto il suo potere e la sua scelta decisionale per essere un consumista. In realtà non è così. Il bambino non può essere consumista se non è indotto ad esserlo, per vari motivi. Il primo è che, anche se ha una sua capacità decisionale fin dai primi giorni di vita, utilizza questa per scelte di sopravvivenza e non certo per scelte filosofiche o in questo senso, di vita. Inoltre perché, proprio per la sua sopravvivenza, sono fondamentali le figure di mamma e papà, tutto ciò che loro fanno e tutto ciò che loro indicano è giusto fare. Se mamma e papà, o chi per loro, non sono soddisfatti di me e del mio modo di essere, io rischio l’abbandono e per il bimbo abbandono equivale alla morte.
Ma parlando di consumismo non si può non parlare di “oggetti”; anche la psicologia ne parla, seppur in modo diverso. L’”oggetto” d’amore e di desiderio per il bambino è la propria madre e quindi il suo amore. Passata una prima fase in cui è giusto che mamma e bambino siano in simbiosi, il bambino deve imparare ad avere dei suoi spazi e dei suoi momenti. È questo il motivo di massima che fa dire a tanti pedagogisti di lasciare che il bambino a volte pianga anche un po’ da solo nella culla e nel lettino e inizi a capire di cosa ha bisogno, a gestire la frustrazione e ad auto-consolarsi  (magari gorgheggiando, canticchiando, coccolandosi…). Se noi interponiamo a tutte queste fasi  continuamente la presenza di un oggetto esterno, inanimato e onnipresente, facciamo in modo che il bambino non superi  queste fasi nel modo più naturale possibile. Ad esempio, l’ansia di esserci o non esserci della madre può cercare un oggetto consolatorio di cui il bambino non ha bisogno e sviluppare in lui, invece una “dipendenza dell’avere”. Crescendo imparerà che vale chi ha e non chi prova, gestisce, crea, esprime e rinuncia. Lo sviluppo dell’identità del sé non passa attraverso” l’oggetto mamma”, ma i suoi surrogati di plastica e altro. Da questo alla dipendenza il passo è breve. Non aver imparato a gestire la frustrazione provoca una confusione del Sé: non si sa bene più chi si è e di che cosa si ha realmente bisogno, e in particolar modo nei momenti in cui si passano naturalmente alcune crisi dovute all’età, ad esempio durante l’adolescenza o in età adulta, in momenti particolarmente stressanti e di transizione, si ricerca la propria identità attraverso il possesso di un oggetto, magari di moda, in modo da ricercare anche l’accettazione del gruppo, della società e quindi il suo riconoscimento.
La scienza psicologica guida i pubblicitari nella scelta dei colori, immagini e suoni per guidare le nostre scelte, ma ci aiuta anche a uscire da una situazione di dipendenza dal consumismo. La psicologia del ragionamento e della decisione è un tipo di psicologia che consente  di comprendere le strategie della decisione del consumatore nei suoi aspetti non logici, evidenziando le differenze rispetto ad un processo logico. Queste differenze rendono conto del come il consumatore possa difendere per esempio scelte di acquisto irragionevoli sul piano logico (cambiare automobile quando quella che ha funziona ancora bene); ci aiuta a comprendere i processi di autogiustificazione per legittimare scelte non sostenibili su un piano meramente pratico o di vantaggio economico.

Alla fine mi viene da concludere che un bambino di oggi potrà essere un consumatore più o meno responsabile a secondo il modo in cui  noi adulti sappiamo gestire o meno le nostre ansie, anche nei loro confronti.

venerdì 2 maggio 2014

Bambini e lettura: un’occasione per crescere insieme


Leggere con i bambini, leggere per i bambini o insegnare a leggere ai bambini? Non c’è una grande differenza: in ognuna di queste azioni passa la relazione. I progetti come “nati per leggere”, i laboratori esperienziali e educativi (per genitori e genitori e bambini) che in questi anni sono stati portati avanti hanno messo in luce proprio questo: attraverso la lettura passa non solo il sapere, ma anche la relazione. Innanzitutto la scelta delle letture fatta insieme ai bambini dice tanto di quello che siamo e quello che tramandiamo.
Attraverso le storie passano i nostri messaggi, i nostri valori, le nostre norme, ma anche le nostre paure. Passa quello in cui crediamo, che ci si possa salvare o meno da una situazione, che si possa fare o meno affidamento sugli altri, sulla propria dolcezza, furbizia o intelligenza per risolvere una situazione, che ci sia o meno una giustizia, una famiglia, un’amicizia, un lieto fine.
È fondamentale quindi scegliere e ragionare sulla nostra preferenza, ma anche avere delle indicazioni riguardo a questa.
È importantissimo iniziare a leggere con loro fin dalla prima infanzia e quindi leggere ad alta voce e, se è possibile, con l’aiuto del proprio Bambino Interiore, mimare storie e personaggi attraverso la voce e i gesti. Un bambino, quando gli viene letta una favola o mentre la legge lui stesso è nella favola e vive realmente le emozioni del personaggio.
Poi si inizia a leggere da soli, di solito in prima elementare. I bambini che hanno iniziato la primaria devono cominciare a esercitarsi con la lettura. Come aiutarli? E come aiutare anche i bambini più grandi che non hanno ancora acquisito bene la capacità di leggere ad alta voce?
Leggere ad alta voce è esperienza piacevole anche perché crea l’abitudine all’ascolto, aumenta i tempi di attenzione (che nei bambini sono di solito molto brevi) e sicuramente accresce il desiderio di imparare a leggere. Quindi quando leggete con i vostri bambini sarebbe il caso di riservare alla lettura un momento particolare della giornata: ad esempio prima del sonnellino o della nanna (momento migliore perché allieta anche il sonno) o comunque scegliendo dei momenti durante i quali siete entrambi un po’ più tranquilli.
Può capitare che il bambino si agiti o sia inquieto, in quel momento è importante non insistere e approfittate di altri momenti, come quelli di attesa, magari dal dottore, durante una fila, in un viaggio o durante un influenza (rende la malattia più affrontabile).
È importante poi il dove leggere: scegliete un luogo confortevole dove sedervi e dove recitate o cantate le filastrocche del suo libro preferito; sarebbe utile cercare di eliminare le altre fonti di distrazione: televisione, radio, stereo… Tenete in mano il libro in modo che il vostro bambino possa vedere le pagine e in modo che voi possiate indicargli le figure e spiegargliele. E poi fatelo partecipare con domande come: cosa pensi che succederà adesso?
E infine scegliete con lui: accompagnatelo in biblioteca e nelle librerie a lasciatevi andare all’entusiasmo dello scegliere un libro! Questo è il dono della relazione che ci dà la lettura con in nostri bambini.
Enrica Gagliardi (enrica.gagliardi1@gmail.com)



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