martedì 27 ottobre 2015

5 cose da fare per sorridere… anche al lavoro!

5 semplici passi per migliorare la vita lavorativa; naturalmente non generalizziamo e che, tramite queste indicazioni ognuno trovi la sua...ricetta!!

IMPARA A COMUNICARE
Il  modo più efficace per costruire relazioni positive sul lavoro è la sincerità. Molte persone pensano che al lavoro non si possa essere  completamente sinceri: se anche tu fai parte del gruppo è tempo di  ricredersi. La questione non è esprimere senza freni qualsiasi cosa ci  stia passando per la testa o dire senza mezzi termini ciò che pensiamo degli altri, bensì seguire un approccio differente. Impara a sorridere. Costruire e nutrire l'empatia è la chiave per avere una buona comunicazione. 
Inizia a chiederti  quali sono le tue esigenze, acquista più sicurezza nelle tue risorse e  impara a comunicare. La prima regola è smettere di cercare scuse o  giustificazioni e iniziare ad agire

ORGANIZZATI
Lascia tutto come se dovessi andartene domattina, eviterai stress inutile migliorando l'organizzazione della tua vita. Inoltre sarà più facile gestire eventuali emergenze e in caso di assenza chi ti sostituirà avrà a disposizione il necessario per lavorare bene. Una buona organizzazione  non serve solo a lavorare meglio, ma è il più efficace rimedio... antistress! 
Sarebbe preferibile iniziare la giornata sbrigando i lavori che richiedono più attenzione, quelli che saresti tentata a procrastinare,  in modo da poter dedicare loro più energia e concentrazione
È in arrivo un compito veloce? se hai tempo fallo subito. Rimandare fa perdere più tempo.
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CONDIVIDI
non stiamo parlando di Facebook o social in generale.
E inoltre essere amichevoli sul lavoro non significa dover necessariamente  condividere ogni aspetto della tua vita privata: decidi tu se e quanto farlo, cosa dire  di te oppure tacere, ma non dimenticare di... fare una pausa caffè e dedicare del tempo ai colleghi! Talvolta dimentichiamo che quelli intorno a noi sono persone, non ruoli. Interessarsi agli altri contribuisce a creare relazioni positive e costruttive, appiana i dissidi e aiuta a capire che di fronte a te c'è un individuo dalla vita complessa e problematica proprio come la tua. Evita il pettegolezzo e ricorda che chi fa gossip con te lo farà anche su di te.

RICARICATI
Secondo uno studio effettuato in Danimarca fare pausa fa bene alla qualità del lavoro, perché una (piccola!) interruzione aiuta a riprendere con più slancio, fa superare i momenti di impasse e aumenta la creatività, oltre a rafforzare il legame con gli altri. impara a ricaricarti. Ricorda che la pausa  serve a... rilassarsi! 
Evita di appesantire questi momenti con commissioni o telefonate estenuanti; concediti un momento per chiacchierare con gli altri, fare una piccola passeggiata o trascorrere un istante all'aria aperta. Non è una pausa caffè a    farti perdere tempo, bensì la tendenza alla dispersione e l'incapacità di sfruttare bene le ore lavorative. Attenzione a quando i break diventano un'interruzione continua: poniti degli obiettivi e fai uno stop solo quando lo avrai raggiunto. 
Quando lavori impara a creare silenzio fuori e soprattutto dentro di te. Concentrati e immergiti al 100% in ciò che fai, qualsiasi cosa sia, la qualità del tuo lavoro sarà più alta e guadagnerai tempo.
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SII FEDELE ALLE TUE PRIORITÀ ( e soprattutto...conoscile!)
I superiori non sono alieni, ma persone esattamente come te, con un carico in termini di responsabilità e organizzazione che spesso li rende nervosi, preoccupati, poco pazienti. Qualche volta comunicare con il capo può diventare difficile, soprattutto in un mondo del lavoro dominato da crisi e paura di licenziamenti improvvisi. Abbi il coraggio di chiederti quali sono le tue priorità e  impara a esprimere tuoi bisogni, al tuo capo, così come agli altri. 
Avere una buona reputazione sul lavoro non significa dover dire sempre  si, anzi tutt'altro: quando una persona lavora con qualità saper affermare i propri no esprime autorevolezza e gioca a tuo favore, aiutando persino a migliorare le condizioni lavorative. Non smettere di dare un contributo costruttivo al luogo in cui lavori e sii propositivo. Il modo giusto per farlo? Lascia da parte l'aggressività e usa empatia, decisione e gentilezza
L'essere umano è un animale sociale: abbandonare paura e arroganza per trovare l'autentica sicurezza in noi stessi è la chiave per un cambiamento positivo.
liberamente tratto da un articolo di De Bernardi (DM)

martedì 20 ottobre 2015

DOLORI DI UNA MADRE E DI UN PADRE CHE HANNO SCELTO L'ABORTO



COSA SIGNIFICA PER LA DONNA ABORTIRE?

L’aborto volontario è un tema spesso ignorato e misconosciuto dalla cultura medica e sociale, soprattutto se consideriamo l’impatto psicologico che questo evento ha sulla donna.
Come ci ricorda la dottoressa Ravaldi la radice etimologica della parola aborto è nel termine latino abortus, da ab-orior, letteralmente “venir meno nel nascere, non nascere, morire”; con questo termine, che è il contrario di orior, nascere, si intende dunque la fine del percorso vitale del bambino in utero.

Letteralmente aborto significa morto, perduto.
Morte – lutto descrivono una buona parte del vissuto esperienziale dell’aborto, quando cerchiamo di capire cosa accade nell’intimo di una madre, ( e alcune volte, ancora troppo poche, di un padre) quando si sceglie di interrompere una gravidanza, e dunque un processo di genitorialità.
L’aborto oggi è culturalmente svuotato del suo reale significato di morte (del bambino)/perdita (per la madre) e la società occidentale, dimentica che ogni perdita prevede un lutto, nega a chi affronta l’esperienza dell’aborto la possibilità di lutto (non si piange e non si soffre su ciò che si è scelto volontariamente), rendendo l’aborto una morte senza lutto, una morte senza dolore, e quindi per assurdo una morte neutra o addirittura spensierata (è stato meglio così).

L’interruzione di gravidanza condiziona il benessere sia fisico che psichico della donna, sia a breve che a lungo termine (molte donne conservano la ferita aperta dell’aborto per molti anni e soffrono intensamente anche dopo decenni) e come tutti i lutti richiede una notevole capacità di adattamento a di adeguamento alla nuova realtà; le conseguenze dell’aborto sul piano psicologico e sulla successiva qualità della vita non sono mai trascurabili.

Il lutto dell’aborto, ancora più degli altri lutti, viene spesso vissuto in sordina, senza cercare o ricevere appoggio esterno: il giudizio così fortemente legato all’atto incute timore laddove dovrebbe esserci ricerca di supporto e risorse e può rallentare di mesi o anni la risoluzione del lutto. Molte donne isolano il loro lutto a livello subconscio o inconscio, prendendone le distanze e negando l’effettiva portata della loro sofferenza, allo scopo di auto-curare quel dolore che non sembra condivisibile.
Una donna che interrompe la gravidanza soffre sia per la perdita del bambino che per la perdita di una parte della propria immagine come persona (nei diversi ruoli di figlia, donna, compagna, cittadina, appartenente ad una comunità religiosa etc).   La “perdita” di queste identità precedenti senza un corretto adeguamento è spesso responsabile di una cattiva elaborazione del lutto e espone le donne a rischio di lutto complicato, soprattutto sul versante depressivo e di condotte autolesive (uso/abuso di sostanze, disturbi del comportamento alimentare)
Le donne che vivono il lutto senza elaborarlo sono a rischio di gravi ricadute depressive durante le gravidanze successive; questo di per se dovrebbe essere un motivo sufficientemente valido per offrire alle donne un supporto nei mesi successivi all'interruzione di gravidanza.

Purtroppo la società di oggi tende a banalizzare qualunque forma di lutto, nell’intento di esorcizzare la perdita ed il dolore; nel caso di un aborto, più spesso tema di confronto politico-religioso che motivo di riflessione sui vissuti individuali di chi affronta questo evento in prima persona, la possibilità di lutto viene ulteriormente ridotta e sconfessata, negata da pregiudizi e da interpretazioni superficiali sulla liceità o meno di provare dolore in questo tipo di perdita.

Come ricorda Vanni l 'aborto non si limita ad uccidere il figlio concepito e a lasciare nella donna pesanti conseguenze sulla salute fisica e psichica; l'aborto colpisce anche il padre del bambino abortito, intaccandone l'essenza della mascolinità, e provocandogli conseguenze psicologiche varie, anche gravi. 

Questa sofferenza è stata chiamata trauma postabortivo maschile una reazione a catena che rode l'identità personale maschile, da un lato minandone l'autostima ('Non valgo nulla perché non ho saputo impedirlo'), dall'altro soffocandola con il senso di colpa e il rimorso che ne deriva ('È colpa mia, l'ho voluto io, sono un assassino e devo pagare')". I sintomi di questo trauma variano a seconda del ruolo avuto dall'uomo nella scelta abortiva, per esempio, "i padri che hanno convinto la donna ad abortire possono provare un forte rimorso per il senso di colpa, mentre quelli che hanno tentato inutilmente di salvare il bambino possono essere vittime del senso d'impotenza". Gli psicologi che si occupano della cura di questi uomini descrivono sofferenze psicologiche "legate alla rabbia e all'aggressività, all'impotenza e incapacità di reagire, al senso di colpa, all'ansia, ai problemi di relazione, al lutto causato dalla perdita".

Alcuni uomini raccontano di soffrire di una grande ansia quando la loro partner rimane incinta e porta a termine la gravidanza. Altri ammettono di essere padri troppo protettivi, che temono che qualcosa possa accadere ai loro figli. Un atteggiamento che influisce negativamente sul normale sviluppo dei figli. Alcuni padri dicono di essere emotivamente invischiati, altri di essere emotivamente distanti ma eccessivamente protettivi. Alcuni affermano di essere diventati il genitore che più vigila sul bambino, allontanando la madre e con un eccesso di reazione ai normali eventi dell'infanzia, come per esempio, nel caso di un raffreddore, precipitandosi al pronto soccorso con il bambino pensando che abbia contratto la polmonite.

Probabilmente il sintomo più consistente ed evidente negli uomini, a causa della perdita di un figlio con l'aborto, è la rabbia. Purtroppo la società rende doppiamente difficile per gli uomini affrontare i postumi dell'aborto. In primo luogo perché la maggior parte dell'ambiente secolare non riconosce neppure l'esistenza della Sindrome Post Aborto nelle donne. E, in secondo luogo, perché agli uomini è stato spesso insegnato fin da bambini che è poco virile mostrare debolezza o piangere. Il risultato è che gli uomini non hanno alcun incentivo dalla società per far fronte in maniera concreta all'evento abortivo.





Enrica Gagliardi 338.6604351

Enricagagliardi1@gmail.com

lunedì 28 settembre 2015

MI ASCOLTI PER FAVORE?!?!


   
Quanto è difficile e allo stesso tempo importante per noi donne facci ascoltare dai nostri uomini?
 E allora pensiamo insieme a qualche trucchetto per renderci la comunicazione più facile:…

1.       Sappi che è più semplice per l’uomo ASCOLTARE MENTRE GUIDA, soprattutto se si sta andando verso una meta da lui amata o comunque piacevole. Funziona ancora di più se si sta andando da amici e parenti, proprio per il desiderio di essere e dimostrare che si è una coppia in cui c’è intesa.

2.       Non è un luogo comune, ma è scientifico: la donna è capace di seguire due conversazioni contemporaneamente, l’uomo no. Semplicemente perché il nostro cervello è fatto in modo diverso e usiamo entrambi gli emisferi celebrali mentre ascoltiamo. L’uomo invece usa solo la metà del suo cervello e per questo risulta più difficile rimanere concentrati su più concetti…quindi?? Una cosa alla volta, please!!

3.       L’attenzione massima dura 6 minuti! Quindi non ci perdiamo in lunghi discorsi e poemi… andiamo subito al sodo!!

4.       Andiamo subito al sodo e facciamoci una scaletta di priorità perché l’orario in cui noi siamo pronte a parlare sono le 8,20 della mattina, mentre loro sono pronti ad ascoltare alle 20,15 di sera!

5.       Riduciamo i nostri discorsi: il perché è semplice…li inondiamo di parole…le nostre al giorno sono 20.000, le loro 7.000. bisogna trovare insieme un equilibrio….

venerdì 25 settembre 2015

LO ZEN DEL RIORDINO...

AIUTO! SOFFOCO TRA I MIEI OGGETTI.

Ecco, non bisogna essere un personaggio del noto programma televisivo Sepolti In Casa per avere questa sensazione e quindi non avere una Sindrome di Accumulo Compulsivo…

Un’infinità di oggetti di ogni tipo (abbigliamento, libri, documenti, foto, apparecchi, ricordi…) ci sommergono all’interno di abitazioni e uffici sempre più piccoli e ci soffocano.

Col risultato che non troviamo mai quello che davvero ci serve.

E’ importante mettere  a punto un metodo che garantisce l’ordine e l’organizzazione degli spazi domestici… e insieme la serenità.

Infatti, ad esempio nella filosofia zen il riordino fisico è un rito che produce incommensurabili vantaggi spirituali: aumenta la fiducia in sé stessi, libera la mente, solleva dall’attaccamento al passato, valorizza le cose preziose, induce a fare meno acquisti inutili.

Rimanere nel caos significa invece voler allontanare il momento dell’introspezione e della conoscenza.

E se mentre puliamo ne approfittiamo per buttare o meglio….riciclare.


Quello che è zavorra per noi sarà utile per altri e a noi farà tanto bene…donare…

lunedì 7 settembre 2015

quando la tecnologia mi aiuta a stare meglio: arriva l'APP del buonumore.... ;-)

perchè no?...un'app che mi fa stare meglio o che mi aiuta a farlo...

Questa applicazione, ha l'obiettivo aiutarvi anche nelle giornate no, a ritrovare il buonumore. Stiamo parlando di Pindolo, un’app ogni giorno diversa che ogni mattina ti regala la canzone del Buongiorno e ti fa sorridere con il fumetto quotidiano, che ti offre il gioco dei Pindoli e ti informa su chi è nato nel giorno che ti interessa, cosa si celebra nella giornata.                               
Carina e simpatica studiata come passatempo ma non solo. Ogni giorno nuovi contenuti per riempire i momenti di pausa o d’attesa, ogni giorno una citazione che può fare cambiare l’umore. Un mix di contenuti diversi come i giochi, le date da ricordare, musiche del buongiorno da poter condividere anche sui tuoi social network preferiti come Facebook o Twitter.
e quindi, in definitiva, come mi aiuta a stare meglio? si parte con un test di personalità...tanto per conoscerci, e ogni giorno ci fa la fatidica domanda: "come stai?" e rispondiamo con l'associazione di immagini e frasi, avendo anche a disposizione un'agenda con l'obiettivo di monitorare il nostro stato d'animo.
funziona? mah, sicuramente è lo specchio di una società che legge meno gli oroscopi e fa i test sui giornali perchè più informatizzata, ma il bisogno di conoscersi di più e della ricerca di Benessere c'è sempre e...allora perchè non provare? poi mi dite come è andata?

venerdì 4 settembre 2015

SETTEMBRE...PERCHE' fare un BUSINESS PLAN?

Settembre...   è come se si iniziasse un nuovo anno…si fanno propositi, si riparte più carichi, si ha voglia di fare, di intraprendere nuove strade, sperimentare nuove cose…capita sempre così, anche se poi a volte i buoni propositi rimangono un po' arenati, causa i mille impegni e le mille cose sempre da fare che ti capitano fra capo e collo, magari inaspettatamente. 

Ma nel lavoro, specialmente se ho un'Azienda o un'Attività in proprio questo non è possibile.

 si dice no? chi ben comincia è a metà dell'opera.


ecco perchè settembre è il momento giusto per fare il Business Plan, per mettere in ordine tutte quelle idee e strategie che servono ad ogni professionista e azienda...come fare?


 il lavoro di BP che presento ai Liberi Professionisti e alle Aziende è un lavoro che parte da un'analisi dei bisogni economici e degli obiettivi professionali per arrivare ad un lavoro su se stessi, attraverso l'analisi delle risorse e dei limiti, allo scopo di attivare strategie adatte che affiancano o sostituiscono quelle già presenti, grazie alla consapevolezza e ad una nuova conoscenza di se stessi.

 Il corso  può essere personale ed individuale o “collettivo” se pensato per gruppi di lavoro ed organizzato in tre incontri di due ore ( a volte si necessita di un ulteriore incontro di un'ora gratuito). 

se volete informazioni o siete semplicemente curiosi contattatemi :
338.6604351
enricagagliardi1@gmail.com
https://www.facebook.com/EnricaGagliardiPsicologaPsicoterapeuta

martedì 1 settembre 2015

CICATRIZZIAMO L'ANIMA?

Come il nostro corpo ha capacità di autoriparazione anche la nostra mente può riparare le ferite di traumi, dispiaceri e dolori.

 La cosa importante da sapere è che per riparare una ferita data da un'emozione negativa ci vogliono tante, tante, tante emozioni positive. Il doppio, se non addirittura tre volte tanto. Siamo fatti così...le emozioni negative hanno più potere su di noi, perché le rimurginiamo, le mastichiamo, ci stiamo troppo a pensare e agiscono sulle sostanze rilasciate dal nostro cervello.

Come fare? Bisogna sforzarsi a amplificare le emozioni positive del presente, non continuare ad arrovellarci in quelle del passato o a preoccuparci per il futuro.

Se, in un dato momento della nostra vita tutto questo non riusciamo a farlo da soli chiediamo aiuto per imparare le strategie giuste  e godiamo di tutte le gioie, anche quelle leggere e che pensiamo superficiali, ma che in realtà fanno...tanto bene per curare le ferite della vita!!

giovedì 27 agosto 2015

e se il DOMANI lo costruissimo NOI?

come si fa? iniziamo a pensare al futuro non come a qualcosa che accadrà, (e quindi chissà cosa), ma a quello che noi faremo.
L'esercizio è semplice e veloce, anche se richiede impegno e costanza, ma verrete ripagati... prendiamo un quaderno e mettiamoci lì, per almeno mezz'ora al giorno,per una settimana,  a scrivere come ci piacerebbe che fosse la nostra vita tra un anno.
Non ci sono regole e si può benissimo fantasticare e anche, se uno vuole...esagerare!
Scriviamo come sarà la nostra famiglia, il nostro lavoro, i nostri amici, le nostre vacanze, quello che faremo e impareremo.
L'importante è non smettere prima della mezz'ora e scrivere quello che immaginiamo in modo molto preciso, nei minimi dettagli, non in modo vago.
così impareremo a dedicarci ai nostri progetti, che a quel punto saranno più chiari, e a pensare il futuro non come una mannaia che ci può capitare tra capo e collo, ma come qualcosa che faremo noi in prima persona

martedì 25 agosto 2015

il Giving Day per il Nostro benessere..

GOCCE DI FELICITA'. inizia da oggi la "rubrica" composta di post in cui ci diciamo quelle che vogliono essere piccole ma importanti indicazioni per pensare e ricercare la nostra felicità e il nostro benessere....oggi iniziamo con le BUONE AZIONI:la psicologia positiva ha dimostrato che Dare rende più felici, la novità è che adesso è dimostrato che almeno 5 buone azioni a settimana migliorano in modo significativo il nostro benessere.
L'idea è concentrarle tutte in un giorno particolare, il Giving Day, in modo da mettere in moto una serie di automatismi che spingono a comportarsi in modo generoso nella nostra quotidianità

giovedì 2 aprile 2015

La droga del terzo millennio: la DIGITAL ADDICTION

SUONA OVUNQUE.... suona a teatro con gli attori che infastiditi smettono di recitare (memorabile Toni Servillo furioso che interrompe un suo spettacolo a teatro di fronte un ostinato cellulare), suona sul treno anche se sono state istituite le “carrozze del silenzio”, suona in ospedale nonostante sia severamente vietato, al mare, in montagna, in Chiesa, per non parlare poi a lavoro e la sua presenza si fa imperante sulle nostre tavole.
Ormai altre al trillo ci sono i messaggi, gli sms, i whathapp, i messanger, è importante controllare all’istante tutte le App installate e poi… chi non ha perso l’occasione di farsi un selfie per poi condividerlo immediatamente?.
Si chiama “digital addiction” , è la droga del terzo millennio e come tutte le dipendenze va curata.
E le sindromi quali sono?
C’è la sindrome FOMO (fear of missing out), ossia la paura di essere tagliati fuori; la “Nomofobia”, ne siete affetti se andate in fibrillazione quando non avete il cellulare con voi, la “checking habit”, ossia la mania di controllare continuamente lo smartphone per cercare se per caso è arrivato un messaggio o una mail, una notifica o una chiamata persa, nonostante abbiamo sempre tutte le suonerie attive.
I sintomi poi sono di vario genere e di varie intensità: stati d’ansia, emicrania, deficit di attenzione e in qualche caso si arriva all’attacco di panico.
Anche perché ormai con lo smarphone si fa di tutto, si ordina una pizza, si acquista un volo, si fa la spesa, si gioca in borsa ì, si prenotano cinema e teatro, che però poi vedremo con cellulare in mano, anzi in…”occhio”.
Non è tutto da demonizzare naturalmente, le nuove App e i nuovi gestionali sono vera manna da cielo per il singolo e per le aziende, ma, come per molte cose, è importante come le si gestisce, vista la crescente logica della produttività e dell’ubiquità.
E allora come fare a “disintossicarsi”?
In questi ultimi anni, per non dire mesi, sono nati alcuni movimenti “slow tech”, per i quali la parola d’ordine è “unplug”, stacca la spina: dalla semplice pausa caffè, alla breve o lunga vacanza.
Perché c’è bisogno di tutto questo? Lo spiega molto bene Granelli nel suo libro “breviario per (soprav)vivere nell’era della rete.” “ La situazione ci è sfuggita di mano. Credevamo che grazie alla tecnologia avremmo avuto più tempo per noi, ma non è andata affatto così…..ogni tre o quattro minuti c’è qualcosa che ci disturba o deconcentra. Questo riduce la produttività anziché aumentarla”.
E allora come fare? Fondamentale è non sottovalutare la cosa.

 È molto importante avere la consapevolezza del proprio disturbo, di come si presenta e dei sintomi e malesseri che presenta. La consapevolezza ci dà già la possibilità di agire. Per alcuni basterà semplicemente  trovare o tornare ad una strutturazione del tempo più sana, ma a volte, come abbiamo detto, il problema prende proprio le fattezze di una dipendenza e allora diviene fondamentale guardare il problema come una espressione di qualche bisogno più profondo e latente.