giovedì 2 aprile 2015

La droga del terzo millennio: la DIGITAL ADDICTION

SUONA OVUNQUE.... suona a teatro con gli attori che infastiditi smettono di recitare (memorabile Toni Servillo furioso che interrompe un suo spettacolo a teatro di fronte un ostinato cellulare), suona sul treno anche se sono state istituite le “carrozze del silenzio”, suona in ospedale nonostante sia severamente vietato, al mare, in montagna, in Chiesa, per non parlare poi a lavoro e la sua presenza si fa imperante sulle nostre tavole.
Ormai altre al trillo ci sono i messaggi, gli sms, i whathapp, i messanger, è importante controllare all’istante tutte le App installate e poi… chi non ha perso l’occasione di farsi un selfie per poi condividerlo immediatamente?.
Si chiama “digital addiction” , è la droga del terzo millennio e come tutte le dipendenze va curata.
E le sindromi quali sono?
C’è la sindrome FOMO (fear of missing out), ossia la paura di essere tagliati fuori; la “Nomofobia”, ne siete affetti se andate in fibrillazione quando non avete il cellulare con voi, la “checking habit”, ossia la mania di controllare continuamente lo smartphone per cercare se per caso è arrivato un messaggio o una mail, una notifica o una chiamata persa, nonostante abbiamo sempre tutte le suonerie attive.
I sintomi poi sono di vario genere e di varie intensità: stati d’ansia, emicrania, deficit di attenzione e in qualche caso si arriva all’attacco di panico.
Anche perché ormai con lo smarphone si fa di tutto, si ordina una pizza, si acquista un volo, si fa la spesa, si gioca in borsa ì, si prenotano cinema e teatro, che però poi vedremo con cellulare in mano, anzi in…”occhio”.
Non è tutto da demonizzare naturalmente, le nuove App e i nuovi gestionali sono vera manna da cielo per il singolo e per le aziende, ma, come per molte cose, è importante come le si gestisce, vista la crescente logica della produttività e dell’ubiquità.
E allora come fare a “disintossicarsi”?
In questi ultimi anni, per non dire mesi, sono nati alcuni movimenti “slow tech”, per i quali la parola d’ordine è “unplug”, stacca la spina: dalla semplice pausa caffè, alla breve o lunga vacanza.
Perché c’è bisogno di tutto questo? Lo spiega molto bene Granelli nel suo libro “breviario per (soprav)vivere nell’era della rete.” “ La situazione ci è sfuggita di mano. Credevamo che grazie alla tecnologia avremmo avuto più tempo per noi, ma non è andata affatto così…..ogni tre o quattro minuti c’è qualcosa che ci disturba o deconcentra. Questo riduce la produttività anziché aumentarla”.
E allora come fare? Fondamentale è non sottovalutare la cosa.

 È molto importante avere la consapevolezza del proprio disturbo, di come si presenta e dei sintomi e malesseri che presenta. La consapevolezza ci dà già la possibilità di agire. Per alcuni basterà semplicemente  trovare o tornare ad una strutturazione del tempo più sana, ma a volte, come abbiamo detto, il problema prende proprio le fattezze di una dipendenza e allora diviene fondamentale guardare il problema come una espressione di qualche bisogno più profondo e latente.